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OPEL: HydroGen3 compie 20 anni

Venti anni fa, all’inizio di settembre 2001, Opel esponeva al Salone di Francoforte una sua nuova proposta di veicolo fuel cell nell’ottica di una futura produzione di automobili per uso privato alimentate a pile a combustibile che, oltre ad essere ecocompatibili, facessero risparmiare risorse energetiche.

Sviluppata sulla base della monovolume compatta Opel Zafira presso il Centro Globale per le Fonti Energetiche Alternative di Magonza-Kastel, in Germania, la nuova Opel HydroGen3 mirava in primo luogo a migliorare le prestazioni e la fruibilità quotidiana del sistema di propulsione.

Nell’ambito di questo progetto si era fatto completamente a meno di alcune componenti che si erano rese necessarie per la precedente HydroGen1 come l’utile effetto collaterale di ridurre ulteriormente il peso del veicolo avvicinandolo all’obiettivo dei 1.590 kg. La potente batteria di accumulo era stata la principale componente di cui i progettisti avevano cercato di fare a meno su HydroGen3. In precedenza, questa unità d’immagazzinaggio energetico aveva il compito di smaltire i picchi prestazionali della meccanica, ma a questo punto era diventata superflua visto che il sistema fuel cell era stato ottimizzato in modo da poter fornire immediatamente la potenza richiesta. In questo modo si era riusciti a risparmiare un centinaio di chili di peso ed a posizionare il piano di carico alla stessa altezza di quello della Opel Zafira di serie (HydroGen3 aveva quindi la stessa capacità di carico di Zafira in configurazione a 5 posti).

L’ottimizzazione dell’architettura dell’intero sistema fuel cell aveva inoltre fatto sì che l’acqua prodotta nelle pile a combustibile come risultato della reazione tra idrogeno e ossigeno fosse sufficiente per coprire l’esigenza di umidità delle loro membrane. Ciò aveva ovviato alla necessità di umidificatori esterni aggiuntivi per le pile che avrebbero richiesto ulteriore spazio e fatto aumentare il peso.

Anche il sistema di trazione elettrica era stato oggetto di ulteriore sviluppo e aveva dimensioni più contenute. L’intero modulo pesava appena 92 kg, era posto tra il trasformatore di voltaggio e l’albero di trasmissione e comprendeva il trasformatore di corrente continua/alternata, il motore elettrico e la trasmissione. Il fatto che potesse essere montato sugli stessi supporti di Opel Zafira rappresentava un ulteriore passo avanti verso la fattibilità della produzione in serie. Un altro progresso era dato dal deciso miglioramento del comfort rispetto alla versione precedente. Un climatizzatore a funzionamento elettrico forniva agli occupanti aria fresca anche nelle giornate più torride. Il veicolo disponeva inoltre di un sistema di autodiagnosi che informava il guidatore dello stato di funzionamento di tutti gli impianti.

I grandi progressi compiuti dall’intero progetto Opel HydroGen risultavano evidenti anche da molti dettagli apparentemente insignificanti. Il bocchettone del serbatoio d’acciaio inossidabile che conteneva idrogeno liquido alla temperatura di -253°C si collegava molto più facilmente. L’accoppiamento era compatibile con quello della stazione di rifornimento di idrogeno dell’aeroporto di Monaco di Baviera. Il serbatoio a doppia parete aveva una capacità di 68 litri oppure di 4,6 kg di idrogeno. L’interno era isolato dalla conduzione di calore da una intercapedine posta tra le pareti interna ed esterna. Ulteriori strati di fogli di alluminio aumentavano la protezione dalle radiazioni di calore. La capacità era sufficiente per assicurare alla Opel HydroGen3 un’autonomia di circa 400 chilometri. Il serbatoio era posto davanti all’assale posteriore sotto i sedili che erano stati rialzati di 25 mm per accoglierlo. L’intero serbatoio (valvole, scambiatore di calore e supporti compresi) pesava 90 kg.

Un’occhiata sotto al cofano motore di questa “Opel Zafira fuel cell” mostrava quanti progressi avesse fatto la tecnologia Opel. Il blocco delle pile a combustibile, circondato da scambiatori di calore e da circuiti di raffreddamento e dotato di una potenza specifica molto superiore a quella del suo predecessore, era la prima cosa che saltava all’occhio. Questo blocco, ulteriormente sviluppato dagli specialisti del Centro Globale per le Fonti Energetiche Alternative, consisteva in un gruppo di 200 pile a combustibile collegate in serie. Lungo 472 mm, largo 251 ed alto 496 mm, era decisamente più piccolo di quello utilizzato su HydroGen1 (590 x 270 x 500 mm). Nondimeno la densità di potenza del blocco – che funzionava ad una pressione compresa tra 1,5 e 2,7 bar – era stata portata a 1,60 kW per litro (0,84 kW/kg) dai 1,10 kW/litro (0,47 kW/kg) di Opel HydroGen1. I progettisti avevano così compiuto un altro passo verso l’obiettivo di 2,0 kW/litro.

Il gruppo di pile a combustibile montato su Opel HydroGen3 sviluppava una potenza costante di 94 kW (contro i precedenti 80 kW) che toccava un picco di 129 kW (120 kW). Questa centrale elettrica ecocompatibile, all’interno della quale idrogeno e ossigeno reagivano elettrochimicamente formando acqua calda ad 80°C, generava elettricità ad un voltaggio compreso tra i 125 ed i 200 Volt a seconda delle condizioni di carico.

La corrente continua così generata veniva trasformata da un elemento di controllo elettronico in corrente alternata (250-380 Volt) ed alimentava un motore asincrono trifase da 82 CV (60 kW). Questo motore, che aveva una coppia massima di 21,9 kgm (215 Nm) ed un regime di 12.000 giri/minuto, era collegato alle ruote anteriori tramite ingranaggi planetari con un rapporto di trasmissione di 8,76:1. Con una componente meccanica così efficiente, questa “Opel Zafira fuel cell” raggiungeva i 100 km/h con partenza da fermo in 16 secondi ed una velocità massima di 150 km/h. Questi valori, così come i particolari tecnici e la struttura esposta sullo stand Opel al Salone di Francoforte, confermavano quanto Opel fosse all’avanguardia in fatto di veicoli fuel cell.

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