L’allenatore Massimo Morgia: “Vorrei tornare il prima possibile ad allenare”
Professione Sport questa mattina ha avuto il piacere di intervistare Massimo Morgia, un allenatore di calcio cresciuto a Roma nel quartiere di San Paolo e Garbatella e che, pur non avendo calcato palcoscenici della massima serie calcistica, ha lasciato un ricordo indelebile nelle numerose società in cui ha lavorato. Morgia ha girato l’Italia dal Trentino alla Sicilia, come calciatore prima e come allenatore in seguito, con dedizione, passione e anche qualche rischio per delle scelte coraggiose e talvolta apparentemente impopolari. Morgia nell’intervista ci racconta le emozioni provate nelle tappe più significative ed importanti della sua lunga esperienza, parlandoci del suo modo di interpretare e vivere il mondo del calcio oggi. Un calcio che momentaneamente lo vede spettatore a causa della pandemia che lo ha costretto abbandonare la panchina da allenatore, in attesa di rimettersi nuovamente in gioco e scendere di nuovo in campo per trasmettere tutta la sua esperienza.
Nel 1990 è iniziata la Sua carriera da allenatore, che le hanno permesso di guidare numerosi club del calcio dilettantistico…
Ho allenato tanto e avrei una voglia immensa di tornare in campo ad allenare i ragazzi, ma purtroppo la pandemia mi ha bloccato. Lo scorso anno ho iniziato ad allenare a Lamezia, ma poco dopo hanno sospeso il campionato per l’emergenza sanitaria. Inizialmente ero stato chiamato per coordinare un progetto che riguardava il settore giovanile e la prima squadra, ero monto entusiasta, ma successivamente ho dovuto lasciare per la sospensione. Nella mia vita ho deciso sempre io cosa fare, ho deciso di intraprendere questa carriere, abbandonare società e di allenare calcio dilettantistico. Quando devo smettere devo deciderlo io senza il volere di nessun altro. Sono sempre stato una persona che ha saputo valutarsi, e mai come ora ho le motivazioni giuste per poterlo fare e per tornare ad allenare. L’anno prima ancora ero a Chieri in Serie D.
In che modo la pandemia ha influito in maniera negativa sul mondo del calcio, e cosa non ha funzionato per la ripartenza del mondo dilettantistico?
La pandemia ha ucciso questo sport, ha bloccato quello che sarebbe dovuto essere il serbatoio del calcio futuro. Molti ragazzi oggi si trovano in Serie D ad affrontare campionati semi professionisti, senza però aver mai giocato campionati minori, e questo è un grosso svantaggio per chi allena e per chi gioca. Se non erano pronti prima, figuriamoci adesso! Purtroppo il calcio è basato sulla rete del mondo economico, e mancando le risorse è stato impossibile poter accedere a certi protocolli e portare avanti grandi progetti studiati negli anni.
Tornando alla Sua carriera calcistica, come è nata la passione del calcio?
La mia passione è nata nei quartieri di Roma dove sono cresciuto, ho deciso di e portare avanti questa passione trasformandola poi nel mio mestiere. Nel corso della mia vita non sono mai stato un grande tifoso di calcio, sono amante del bel calcio e degli allenatori che hanno una buona visione di gioco. Nella mia carriera ho vinto abbastanza, tra cui campionati e scudetti, mi sono sempre ritrovato a lottare per le prime posizioni in classifica, ma questo mestiere è fatto di alti e bassi, e anche io ho avuto gli insuccessi come tutti, ma si sa … le sconfitte fanno parte del gioco e aiutano a crescere. Durante il mio percorso ho avuto la fortuna di incontrare due maestri come Romeo Anconetani e Silvano e Silvano Bini, rispettivamente presidenti del Pisa ed Empoli, che mi hanno permesso di fare poi questa carriera.
Ma tornando al calcio di oggi, l’introduzione di nuove tecnologie, come per esempio la VAR, quanto è cambiato questo sport?
Il calcio è cambiato tanto, a partire dall’approccio in campo. Quando ero piccolo dovevo litigare con i miei genitori per andare a giocare a calcio, avevano paura che mi rovinassi le scarpe e non dedicassi abbastanza tempo allo studio. Oggi la maggior parte dei genitori spingono i propri figli nelle scuole calcio più per moda più che per passione. Dobbiamo cercare di far innamorare i bambini all’interno delle società, soprattutto in quelle più piccole. I bambini devono prima di tutto divertirsi, senza però dimenticare la motivazione e il sacrificio. Il nostro compito è quello di non farli diventare troppo meccanici.
Un calciatore che avrebbe voluto allenare e che per Lei rappresenta il calcio.
Sono romano e indubbiamente Francesco Totti per me rappresenta il calcio: sia per doti fisiche, tecniche e fantasiose. Per lo più ha giocato con una sola maglia e questo gli rende onore. Oggi non c’è più l’amore e l’appartenenza per i colori, spesso si cambia facilmente squadra per semplici questioni economiche o per la troppa panchina. Negli anni oltre al calcio anche il ruolo del calciatore si è evoluto, e invece credo che sia il momento di riportare, soprattutto i più piccoli, a ciò che era il calcio 40 anni fa. Questo deve essere fatto all’interno delle società, proprio per ridargli questo senso di appartenenza che sembra essere svanito. Faccio un esempio: nel nostro paese non nascono più tanti talenti come la storia ci ha insegnato, questo perché non si gioca più sulla strada. Il mio augurio più grande è quello di tornare al più presto in campo per poter trasmettere la mia passione e amore per il calcio!